Il Genio di Palermo è una delle più antiche e complesse figure mitologiche della tradizione cittadina ed espressione di una spiritualità popolare antica, probabilmente risalente all’epoca pre-romana.
Il Genio (dal greco ghenos= nascita e dal latino genius=generatore di vita) era un essere immanente atto a proteggere il luogo, naturale o meno, in cui l’uomo e la sua famiglia dimoravano o si trovavano a vivere: è il Genius loci per l’appunto.
Il Genio è nume ed emblema della Città di Palermo nonchè complementare di Santa Rosalia, eletta dal 1624 sua patrona. E’ sempre raffigurato come un vecchio seduto in trono ed incoronato, con la barba divisa in due ciocche ed è accompagnato da un serpente nell’atto di morderlo o di succhiargli il petto e alle volte sormontato da un’aquila o con ai piedi un cane o, ancora, con in mano lo scettro.
Nella statua posta all’interno del Palazzo Pretorio (Palermu u nicu) ai suoi piedi si legge la scritta: Panormus conca aurea suos devorat alienus nutrit» (Palermo conca d’oro divora i suoi e nutre gli stranieri), espressione che identifica con la conca la pianura in cui sorge Palermo (la Conca d’Oro) mentre il motto lascia supporre una eventuale discendenza del Genio da Kronos o Saturno, divinità del tempo e dell’agricoltura, divoratore dei propri figli e simbolo di pienezza e abbondanza.
La simbologia del serpente può assumere altri significati; essendo associato alla terra e all’acqua, alla fertilità, alla rinascita e al rinnovamento ma anche a simbolo di prudenza e di conoscenza per la sua natura oscura e nascosta. Il serpente nutrito dal Genio è indicativo di rinnovamento e di trasformazioni, anche grazie alle relazioni con gli stranieri che nel corso della storia della città furono talvolta conquistatori e talvolta ospiti, produssero commercio, traffici, scambi, rimescolamenti di etnie e matrice di mutamenti culturali.
Le testimonianze del Genio di Palermo disseminate tra le strade e gli anfratti della città sono numerose; tre le più conosciute vi sono 10 rappresentazioni monumentali, di cui sette sono sculture (con due fontane), due sono affreschi (opere di Vito D’Anna) e un’altra è un mosaico posto dentro la Cappella Palatina.
Grazia Bellardita