Pasquale Bruno, bandito per amore… e per vendetta

Questa avvincente storia siciliana fu resa famosa dallo scrittore francese Alexandre Dumas, che ne trasse un grande romanzo.

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Una delle storie più avvincenti ambientate in Sicilia è quella del bandito Pasquale Bruno, uomo di umili origini che a causa di una vecchia questione familiare, si vide negata la mano della ragazza che amava, e si ritrovò anzi ricercato e perseguitato dai nobili che governavano le terre in cui viveva. Costretto a darsi alla macchia, decise di vivere di furti e scorribande, in attesa di compiere la sua vendetta.

Delle reali vicende che hanno costellato la vita di Pasquale Bruno, in realtà sappiamo molto poco. La sua storia è divenuta parte di una tradizione orale ben infarcita di aspetti leggendari e che è stata ulteriormente romanzata dal famosissimo autore francese Alexandre Dumas, padre di opere immortali come Il Conte di Montecristo e I tre moschettieri.

È proprio a Dumas che dobbiamo la diffusione, seppur non sempre storicamente attendibile, di questa appassionante vicenda realmente accaduta nella Sicilia di fine ‘700.

La leggenda di Pasquale Bruno

Come abbiamo detto, il bandito Pasquale Bruno è veramente esistito, tuttavia ben poco si sa della sue vita e, per quanto basata su fatti veri, la storia che conosciamo è stata certamente “ritoccata” dalle leggende popolari e dalla fantasia di un grande scrittore come Dumas.

La vicenda comincia a Bauso (oggi Villafranca Tirrena, in provincia di Messina), quando Pasquale era solo un bambino.

Il tirannico conte di Castelnuovo che governava quelle terre, era solito trattare gli abitanti del paese come se fossero di sua proprietà, e un bel giorno i suoi occhi si posarono su una bellissima ragazza. Il conte se ne invaghì e tentò più volte di farla sua, ma all’ennesimo rifiuto della ragazza andò su tutte le furie e la prese con violenza.

Questa ragazza era la madre di Pasquale e moglie di Antonio Bruno, detto “Zuzza”, abitante di Bauso noto tra le altre cose per il suo carattere focoso.

Deciso a vendicare l’onore della moglie, Antonio tentò di farsi giustizia uccidendo il conte, ma il suo piano fallì. Catturato, fu condannato a morte e la sua testa venne appesa in una gabbia che penzolava sulla facciata del castello di Bauso, come monito per gli altri villani.

Profondamente addolorati, il piccolo Pasquale e sua madre decisero di rifugiarsi tra le montagne, lontani da quel luogo colmo di tristi ricordi.

Qualche anno più tardi, alla morte della madre, il giovane Pasquale fece ritorno a Bauso, dove si innamorò perdutamente di una giovane cameriera di nome Teresa, che lavorava proprio al servizio di quella nobile famiglia che gli aveva causato tanto dolore.
Il vecchio conte era morto e i suoi possedimenti erano passati alla figlia, la contessa Gemma di Castelnuovo e a suo marito, il principe di Carini.

Saputo che la giovane cameriera Teresa era stata promessa in sposa ad un fedele servitore del principe, a Palermo, Pasquale Bruno decise di rivolgersi alla contessa per ottenere ad ogni costo la mano della sua amata ma, saputo il suo nome, lei chiamò i servitori perché lo catturassero. Dopo una fuga rocambolesca, durante la quale fu anche ferito da un colpo di pistola, Pasquale si rifugiò tra i boschi, dove iniziò una nuova vita fatta di scorribande e sete di vendetta.

Il bandito gentile

Incisione dal romanzo Pascal Bruno – Pubblico dominio

Ricercato in tutta la Sicilia, Pasquale Bruno si ritrovò a vivere da bandito. Era un combattente abilissimo ed era dotato di una mira straordinaria, che gli permetteva di colpire bersagli a grande distanza con il suo fucile.

Ben presto mise insieme una piccola banda, tra cui vi era anche un saraceno di nome Alì, con cui strinse un profondo rapporto di amicizia.

La banda iniziò a seminare il terrore tra i nobili che si ritrovavano a viaggiare nelle campagne del messinese. Il ricavato dei saccheggi, oltre che per il sostentamento di Pasquale e dei suoi compagni, veniva ridistribuito tra le famiglie contadine della zona. Inoltre molti popolani ricorrevano al suo aiuto per raddrizzare i torti subiti.
Queste opere da benefattore gli fecero guadagnare l’amore dei suoi concittadini, che in più di una occasione ricambiarono il favore, avvertendolo dell’arrivo delle guardie o dandogli asilo nei casolari di campagna.

Così Pasquale Bruno trascorse diversi anni, con la fama di uomo imprendibile, in attesa che si presentasse l’occasione per la vendetta.
Tale occasione alla fine arrivò. Quando la contessa di Castelnuovo in viaggio verso Messina, si fermò in una locanda, il bandito trovò il modo di narcotizzarla ed introdursi nella sua camera. Piuttosto che ucciderla, come qualsiasi brigante avrebbe fatto, decise invece di infliggerle un’umiliazione, rasandole i capelli e le sopracciglia e forse abusando di lei.

Di fronte a quest’onta la contessa di Castelnuovo fece intensificare le ricerche di Pasquale Bruno, che alla fine diedero frutto grazie al tradimento di uno dei suoi amici, di nome Placido.

Trovatosi assediato nel suo rifugio, il bandito riuscì a resistere, anche grazie ad una grande quantità di polvere da sparo con la quale minacciava di far saltare l’intero edificio.

La contessa però aveva un asso nella manica. Minacciò di bruciare l’intero paese di Bauso se lui non si fosse consegnato. Iniziò addirittura ad appiccare il fuoco quando, per risparmiare le case e le vite dei suoi concittadini, finalmente Pasquale decise di farsi arrestare.
Per via del valore dimostrato, il capitano gli concesse anche il favore di lasciare libero Alì, che fino all’ultimo gli era rimasto fedele.

Pasquale Bruno fu condotto a Palermo, sul piano della Marina, dove era stata allestita la forca per la sua impiccagione. Il bandito vi salì spontaneamente. Dopo avergli passato la corda intorno al collo, il boia gli tolse la scaletta da sotto i piedi, poi gli salì sulle spalle per accelerarne la morte mentre altri due assistenti lo tiravano per i piedi.
Il peso eccessivo fece spezzare la corda e scaraventò tutto il gruppo a terra. Il primo ad alzarsi da terra fu proprio Pasquale, nonostante il boia nel parapiglia gli avesse conficcato un pugnale nel fianco destro. Preso il pugnale si lamentò col boia per la sua inettitudine, poi si tolse la vita trafiggendosi il cuore.

La mattina successiva, quando andarono a svegliare la contessa Gemma di Castelnuovo, la sua testa cadde sul pavimento, il coltello di Alì era lì nella stanza, la vendetta era compiuta.


La nascita del romanzo

Leggendo questa storia è evidente come molti passaggi siano frutto della fantasia di un romanziere, più che di episodi realmente accaduti, ma com’è possibile che tali avvenimenti siano arrivati ad ispirare addirittura Dumas?

La risposta è semplice. L’autore era un grande amico del compositore siciliano Vincenzo Bellini. Quando nel 1832 Dumas si ammalò di colera, decise di trasferirsi in un luogo dal clima più salubre dove guarire, la Sicilia. Fu proprio Bellini a suggerirgli di fare tappa a Bauso, per scoprire la storia del bandito, che di certo lo avrebbe appassionato.


Al tempo Pasquale Bruno era morto da meno di 30 anni (esistono gli atti della sua esecuzione, avvenuta nel 1803), dunque non fu difficile per l’autore francese trovare notizie e testimonianze dirette, di chi lo aveva conosciuto.

Il risultato di queste ricerche fu la pubblicazione del Pascal Bruno nel 1838, opera dal quale furono tratti anche spettacoli teatrali ed opere liriche.

Leggi anche: Gaudenzio Playa, il Robin Hood siciliano

Fonti: A. Dumas – Pascal Bruno
M. Mento – Pasquale Bruno, il brigante di Bauso – Gazzetta del Sud
J. Nicolosi – La leggenda del bandito Pasquale Bruno: un capolavoro di Dumas consigliato da Bellini – Sicilian Post
Wikipedia.org – Pasquale Bruno (Bandito)

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Samuele Schirò
Samuele Schirò
Direttore responsabile e redattore di Palermoviva. Amo Palermo per la sua storia e cultura millenaria.

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