Via Ernesto Basile va dal Corso Tukory e da Via Re Ruggero a Viale della Regione Siciliana sud-est.
La via prende il nome dal famoso architetto nato a Palermo il 31 gennaio 1857 e morto il 26 agosto 1932. Appena conseguita la laurea in architettura si spostò a Roma in compagnia del padre Giovan Battista Filippo Basile, dove partecipò al concorso per la costruzione, prima del monumento a Vittorio Emanuele II (nel 1881), poi del palazzo di Giustizia (nel 1884) ed infine per il palazzo del Parlamento (nel 1889). Tornato a Palermo diresse la costruzione dei padiglioni per l’Esposizione Nazionale del 1891-92 e, alla morte del padre, completò la costruzione del Teatro Massimo. Ebbe la cattedra di architettura all’Università di Palermo e ne rimase titolare fino alla sua morte.
Ernesto Basile fu il maggiore esponente dell’architettura stile Liberty. Tra le opere principali che lasciò a Palermo ricordiamo: la Villa Chiaramonte-Bordonaro alle Croci (1893-96), l’albergo Villa Igiea (1899-1903), la Villa Florio di viale Regina Margherita (1899-1904) i cui interni furono distrutti dall’incendio doloso del 1962, una seconda Villa Florio a S. Lorenzo (1908), Villa Basile di via Siracusa, costruita per se stesso e moltissime altre. In più tra le sue opere vi sono anche i chioschi di Ribaudo (a piazza Castelnuovo del 1916 e piazza Verdi del 1894), il chiosco Vicari (sempre a piazza Verdi, del 1897), la statua “della Libertà” del 1910 a cui aggiunse l’emiciclo nel 1931 e, infine, la chiesa di S. Rosalia in via Marchese Ugo (1928).
Purtroppo alcune sue opere sono andate perdute per via di eventi bellici o di azioni speculative. Causò grandissimo scandalo ad esempio la demolizione della Villa del principe Deliella, in piazza Crispi, demolita sfrontatamente nella notte tra il 28 e il 29 aprile 1959 «in maniera barbara, senza salvare nulla, facendo scempio di maioliche, fregi, ferri battuti e della vegetazione arborea e perpetrando un delitto che offendeva l’arte e qualificava in maniera inequivocabile chi lo aveva facilitato e chi lo compiva», citando Salvatore Inzerillo.